Con questo termine si intende la procedura di amministrazione straordinaria delle grandissime imprese insolventi, introdotta nel nostro ordinamento a seguito del crack della Parmalat, e allo scopo di disciplinarne il dissesto, così come altri dissesti di rilevantissime dimensioni.
L’idea che sta alla base della procedura è che – qualora l’impresa sia grandissima, per tale intendendosi attualmente un’impresa dotata di almeno 500 dipendenti e gravata da almeno 300 milioni di euro di debiti – se ne debba tentare la ristrutturazione economico-finanziaria in ogni caso (e quindi senza verificare l’esistenza di concrete prospettive di recupero, come accade per le imprese semplicemente grandi).
La procedura ha natura amministrativa e non giudiziaria. Essa viene infatti aperta da un provvedimento governativo ed è affidata a un commissario straordinario di nomina ministeriale, che è dotato di amplissimi poteri di gestione. Tra questi poteri figura quello di predisporre un programma di ristrutturazione, di esercitare le azioni revocatorie contro gli atti dannosi per i creditori compiuti dall’imprenditore prima di essere ammesso alla procedura, e quello di proporre ai creditori un concordato come strumento per la chiusura della procedura.
Questa forma di concordato, che ha trovato pratica applicazione proprio nel caso Parmalat, ha un contenuto estremamente flessibile, poiché può prevedere la soddisfazione dei creditori attraverso qualsiasi forma tecnica o giuridica e anche attraverso l’attribuzione ai creditori stessi di azioni o quote della società (o di società di nuova costituzione): con ciò trasformando, come si dice, il debito in equity (cioè in capitale di rischio).