LA NASCITA DEI MINIBOND: UN’ INNOVAZIONE FINANZIARIA “SPECIALE”
Tra le innovazioni finanziarie più rilevanti sorte nell’ultimo decennio, i minibond rappresentano sicuramente una di quelle più interessanti. I minibond furono, infatti, introdotti nell’agosto dal cd. “Decreto Sviluppo” (D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito poi in legge con modificazioni il 7 agosto 2012), e il mercato è stato da una parte stabilizzato dal sistema di garanzie pubbliche potenziate a valle degli effetti della pandemia Covid-19, e dall’altra stimolato dal supporto del Fondo (statale) Patrimonio PMI di Invitalia, che, secondo quanto riportato nell’ottava relazione della School of Management di Milano, nel 2021 ha coinvolto 154 imprese in più rispetto all’anno precedente d’introduzione del Fondo, per un controvalore complessivo di emissioni pari a € 264,5 milioni (si veda grafico 1 sottostante).
Grafico 1. Sintesi dei numeri dell’industria italiana dei minibond nel periodo 2019-2022 (emissioni sotto € 50 milioni di società non finanziarie; valore delle emissioni in € milioni).
Come si può evincere dal grafico, dopo la flessione nel numero di imprese emittenti legata agli effetti recessivi della crisi pandemica, nel 2021 il numero di emittenti e il flusso di emissioni relative ha assunto una dinamica al rialzo superando perfino i livelli precrisi. Questa ripresa è stata resa possibile dalla stabilizzazione del mercato, realizzata mediante l’estensione e il rafforzamento delle reti di garanzie pubbliche e dall’’introduzione del Fondo Patrimonio PMI di Invitalia.
Il percorso di crescita è continuato parimenti nel 2022, anno di emissioni record del mercato dei minibond, con la conquista di decine di imprese emittenti al debutto e con l’incremento della raccolta sul mercato, nonostante le tensioni geopolitiche, l’aumento dell’inflazione e, soprattutto, l’incremento dei tassi di interesse da parte della BCE.
Come tante innovazioni finanziarie, anche i minibond sono stati istituiti allo scopo di fornire a determinate imprese private canali di finanziamento alternativi a quelli tradizionali bancari, in un contesto di doppia recessione legata, da un lato, allo scoppio della crisi finanziaria mondiale (2007-08) e, dall’altro, all’adozione di politiche di austerità all’interno dell’area-euro (2011-14), che ha condotto ad una stretta negli standard di valutazione del merito creditizio della controparte-imprese da parte delle banche e di stretta dei finanziamenti bancari alle PMI, nonché ad una crescente fragilità del sistema bancario tradizionale.
Le principali garanzie pubbliche nazionali, regionali ed europee sui minibond.
Tuttavia, a differenza di quello che si osserva normalmente per innovazioni finanziarie market-driven (che scaturiscono, cioè, da innovazioni “spontanee” di operatori del mercato), i minibond rappresentano strumenti finanziari innovativi che godono già in partenza di una cornice ben definita di regolamentazione pubblica e, allo stesso tempo, di una rete di garanzie pubbliche – nazionali, regionali ed europee – sul loro valore nominale, volte ad esercitare in caso di default delle controparti emittenti.
Tra le diverse reti di garanzia pubblica, alcune delle quali potenziate a seguito della grande recessione pandemica, troviamo le seguenti:
- Fondo Nazionale di Garanzia delle PMI;
- Garanzia Italia;
- Garanzia delle finanziarie regionali;
- Fondo di Garanzia a supporto della cartolarizzazione tradizionale o sintetica di portafogli di minibond;
- Confidi;
- Fondo Europeo di Garanzia (FEG);
- Garanzia collaterale privata offerta dall’impresa-debitrice;
Com’è possibile evincere dal grafico sottostante, tra il 2021 e il 2022, le garanzie offerte dal nuovo Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI) e dalla Banca Europea per gli Investimenti (BEI) sono aumentate da 3 a 59, passando da una copertura dell’1% del primo anno ad una del 22% delle emissioni totali del 2022.
Grafico 2. Presenza (forse meglio “numero”?) di garanzie relative al rimborso dei minibond. Confronto fra il 2021 (221 emissioni) e il 2022 (268 emissioni).
Durante lo scorso anno, le emissioni ammesse al supporto del Fondo di Garanzia statale gestito da Mediocredito Centrale, così come quelle eleggibili al supporto della SACE (sia per quanto riguarda il Fondo “Garanzia Italia” che i progetti di internalizzazione) sono diminuite in entrambi i casi, passando nel biennio considerato, rispettivamente dal 33% al 22% e dal 15% all’8% delle emissioni annue totali. La garanzia fornita dalle imprese finanziarie pubbliche-regionali (approntata specialmente nella regione Puglia) ha rappresentato solo il 2% delle emissioni totali (in diminuzione rispetto al 9% dell’anno precedente). Inoltre, nel 12% dei casi la garanzia è stata, invece, offerta autonomamente dall’emittente, attraverso principalmente un pegno o una fideiussione (era il 15% nel 2021). Infine, per quanto concerne la quota di emissioni di minibond non assistiti da alcuna garanzia, nel 2022 si è registrato un aumento di alcuni punti percentuali passando dal 16% del 2021 al 22% del 2022, costituendo, tuttora, una parte relativamente minoritaria delle emissioni complessive.
La presenza di garanzie pubbliche in caso di default dei debitori rende questo tipo di obbligazioni aziendali (o cambiali finanziarie) relativamente “speciali”, ovvero più sicure e relativamente più liquide rispetto a quello che sarebbero state in assenza di tali garanzie e, anche, rispetto a qualsiasi altro titolo di debito privato innovativo (o passività privata innovativa) che, solitamente, si ritrova ad essere sprovvista di garanzie e protezioni pubbliche. Di conseguenza, al contrario di tanti altri strumenti finanziari emersi da innovazioni (di “prodotto”) del mercato finanziario, i minibond rappresentano un canale di finanziamento alternativo relativamente più sicuro e meno costoso di altri canali obbligazionari o di credito bancario tradizionale risultando, pertanto, un mercato potenzialmente in prospettiva più allettante.
Infatti, non è un caso che sia nel 2021 che nel 2022, grazie all’introduzione delle reti pubbliche di protezione, la quota di minibond accompagnati da covenant finanziari offerti dalle imprese-emittenti si sia man mano ridotta rispetto al passato. In linea con quanto detto, l’agevolazione in favore dei minibond costituita da specifiche reti di garanzie pubbliche – predisposte, in ultimo, a favore degli investitori-sottoscrittori – si rivela, dunque, necessaria al fine di incrementare il grado di liquidità di tali titoli di debito privato e di promuovere concretamente un utilizzo diffuso di questi strumenti.
DEFINIZIONE E CARATTERISTICHE DEI MINIBOND
I minibond rappresentano titoli di debito privato – ovvero titoli obbligazionari privati o cambiali finanziarie aziendali – che sono emessi da istituzioni private non-finanziarie italiane, quotate o non quotate in borsa, ovvero da società di capitali o cooperative aventi operatività propria. Il taglio di emissione massimo dei minibond è stato fissato ad un importo pari a €50 milioni e i collocamenti dei minibond non possono avvenire su listini aperti agli investitori al dettaglio (retail).
I minibond sono titoli obbligazionari privati onerosi di interessi per le imprese-debitrici che decidono di finanziare e rifinanziare i propri investimenti tramite l’emissione di questi contratti, fruttiferi d’interessi per i sottoscrittori-creditori che intendono investire in tali strumenti finanziari. Al contrario di quanto avviene per le tradizionali obbligazioni private (e.g. corporate bonds) e le tradizionali obbligazioni pubbliche (e.g. i titoli di Stato), la struttura contrattuale dei minibond, tranne che per le emissioni a breve scadenza, non prevede il pagamento periodico di interessi da parte dell’impresa emittente e l’eventuale rimborso integrale del titolo a scadenza, secondo la tradizionale modalità bullet. Piuttosto, la maggioranza dei minibond prevede il rimborso del titolo a rate successive, secondo la modalità amortizing, con ogni rata che comprende, quindi, sia una quota interessi che una quota capitale, in linea con la struttura contrattuale prevista per i più tradizionali prestiti commerciali.
La tassonomia dei minibond.
Secondo la tassonomia dei minibond tracciata dall’Osservatorio sui minibond della School of Management di Milano (e riportata nella tabella 1), ad oggi, si possono distinguere tra diverse tipologie di minibond:
- Minibond “captive”,
- Minibond “single deal” (quotati e non quotati),
- Minibond listed “club deal” (quotati e non quotati),
- Basket bond;
Tabella 1. La tassonomia dei minibond
La prima categoria, quella dei minibond captive, fa riferimento a quelle operazioni in cui l’investitore-acquirente del minibond coincide (o fa parte dello stesso gruppo) con l’originator dell’operazione, ovvero con chi ha affiancato l’impresa-debitrice nella strutturazione della stessa. Solitamente l’originator è un’istituzione bancaria, che già intrattiene rapporti con l’emittente e che accompagna quest’ultimo nella fase di ingresso e di successivo percorso all’interno del mercato dei capitali. Queste operazioni, in particolare, si avvicinano maggiormente alle tradizionali operazioni di credito bancario.
Un secondo tipo di operazioni sono quelle in cui invece l’originator non coincide con l’investitore, ovvero minibond “non-captive”, che si suddividono in due sottogruppi. Si tratta di operazioni costruite secondo una logica di mercato competitivo, dove il sottoscrittore potrebbe essere un unico soggetto (tipicamente un fondo di private debt o un investitore istituzionale specializzato), piuttosto che più soggetti (investitori professionali affiancati magari da soggetti di emanazione pubblica, che raramente investono nel 100% di un’emissione). Nel primo sottogruppo si parla di operazioni di tipo “single deal”, mentre nel secondo di operazioni di tipo “club deal”. Infine, la terza categoria di minibond è rappresentata dai “basket bond”, ossia titoli, anche cartolarizzati, volti a finanziare progetti di sistema che aggregano diverse imprese emittenti per geografica-territoriale o per filiera produttiva. I basket bond rappresentano un classico esempio di titoli derivati, ovvero garantiti da altri titoli o attività sottostanti (cd. “asset-backed securities” o ABS).
Le clausole di opzioni call e put sui minibond.
Infine, anche la presenza di opzioni call e put rispetto al rimborso del capitale è stata frequente nei minibond. A parità di tutto il resto, un opzione call (prevista su un minibond) attribuisce al debitore (impresa-emittente il minibond) il diritto di poter esercitare in futuro l’opzione di rimborso anticipato, prima della scadenza, del titolo o del prestito (in questo caso del minibond). D’altro canto, l’opzione put (prevista su un minibond) attribuisce al creditore (investitore-acquirente di un minibond) il diritto di poter esercitare in future l’opzione di rimborso anticipato del titolo o prestito. Quest’opzione è prevista, ovviamente, a discrezione e a protezione dell’investitore, consentendo a quest’ultimo la possibilità di liquidare o di smobilizzare il titolo in futuro, in caso di particolari esigenze di cassa (di rifinanziamento).
Tabella 2. Statistiche sull’esistenza di opzioni call e put. Campione: 1.461 emissioni di minibond
Infine, come si può evincere nella tabella 2 di cui sopra, che riporta la distribuzione di percentuali per tipo di imprese emittenti e di maturity (o durata) dei minibond emessi, la presenza della sola opzione call è leggermente più comune nelle emissioni a breve scadenza e per le PMI; mentre la sola opzione put, per ovvie ragioni, è invece relativamente un po’ più frequente per le emissioni a lunga scadenza ma anche per le grandi imprese. D’altro canto, la presenza di entrambe le opzioni è relativamente più comune tra le PMI e le società non quotate e per i titoli a più lunga scadenza.
GLI ATTORI DELLA FILIERA
Analizzando, invece, la catena del valore che ha caratterizzato il mercato dei minibond nel 2021, la relazione sopramenzionata individua tra le principali figure professionali i seguenti attori:
- le imprese emittenti,
- gli advisor,
- i consulenti legali,
- gli arranger,
- le società di rating dei minibond,
- le banche agenti e depositarie,
- gli investitori sottoscrittori di minibond,
Nella fase di emissione di minibond, le imprese-emittenti sono assistite dagli advisor, ossia da consulenti che affiancano l’impresa nella decisione strategica iniziale, nell’analisi del business plan e del memorandum informativo, nonché nella definizione dei tempi e delle modalità delle emissioni. In aggiunta, vi sono i consulenti legali il cui compito è quello di verificare gli aspetti formali e di compliance rispetto ai contratti e ai regolamenti o prospetti del prestito.
Nella fase di collocamento dei minibond sul mercato, vi sono gli arranger che si occupano di individuare i potenziali investitori e della messa a punto (“fine-tuning”) della definizione dei rendimenti offerti. A questi si aggiungono le società di rating che si occupano di emettere giudizi indipendenti sulla solvibilità dell’emittente.
Un altro ruolo importante all’interno della filiera è svolto senz’altro dalle banche agenti e dalle banche depositarie, le quali assistono le imprese emittenti nei processi amministrativi connessi alla dematerializzazione dei titoli e alla gestione dei pagamenti. Per quanto riguarda, invece, gli investitori sottoscrittori di minibond, il report della School of Management milanese ha rimarcato, anche per il 2021, la presenza rilevante di banche italiane – che hanno sottoscritto il 43% dei volumi – seguite dai fondi di private debt – sottoscrittori del 23% delle emissioni – da banche estere – sottoscrittrici del 14% dei titoli collocati – e, infine, dalla Cassa Depositi e Prestiti.
LE IMPRESE EMITTENTI E IL DESIDERIO DI SPERIMENTARE
Come risulta dalla ricerca condotta dalla School of Management di Milano, tra le 832 imprese italiane che, alla data del 31 dicembre 2021, avevano emesso e collocato minibond 520, ossia il 62,5%, erano PMI.
In particolare, nel 2021 le emittenti furono 200 – di cui ben 163 al primo ingresso nel mercato – in aumento rispetto alle 173 del 2020, mentre, per quanto riguarda la struttura giuridica delle imprese emittenti, il 52% era costituito da SpA, il 45% da Srl (tipologia in forte aumento), e solo il 3% da società cooperative.
Per quanto concerne, invece, il settore di attività maggiormente attivo nel mercato dei minibond, il comparto manifatturiero costituiva il settore dominante, con il 45% delle imprese emittenti che operavano in tale ambito, mentre il 14% delle aziende operava nel settore dei servizi relativo al commercio. Per volume di affari, dominano le imprese con un fatturato fino a €10 milioni, con un recupero nel periodo di riferimento anche per le imprese con ricavi compresi tra i €100 e i €500 milioni. Infine, le prime tre regioni per numero di imprese emittenti sono rappresentate dalla Lombardia, dalla Campania e dall’Emilia Romagna.
Dalla ricerca condotta dalla School of Management di Milano, inoltre, emerge che non esiste alcun nesso di causa-effetto tra modalità di finanziamento tramite minibond e crescita del volume d’affari per le imprese coinvolte. Piuttosto, per un numero consistente di PMI il minibond rappresenta una tappa all’interno di un percorso di crescita iniziato ben prima e che prevede una serie di altre tappe importanti, già pianificate. Di conseguenza, ad oggi, il mercato dei minibond rappresenta ancora, non solo un mercato di nicchia (sia per numero di imprese e di investitori coinvolti, che per volumi di emissioni e di investimenti/finanziamenti), ma anche un mercato che si rivolge molto poco a imprese in fase di nuova costituzione. Si evidenzia inoltre come, all’interno del campione, vi erano diverse PMI che, pur godendo di accesso al credito bancario, mostravano il desiderio crescente di sperimentare la modalità di finanziamento tramite minibond.
I motivi di tale desiderio di sperimentare sono legati ai maggiori vantaggi competitivi che deriverebbero dall’utilizzo di tali strumenti innovativi, sia in termini di nuove e maggiori competenze nell’ambito delle operazioni dei mercati di capitali che in termini di un migliore status reputazionale, ottenuto grazie al relativo effetto di “certificazione” e di “legittimazione”.
Infine, e non meno importante, tra le motivazioni principali per cui le imprese emittenti sono entrate nel mercato obbligazionario dei minibond, la necessità di finanziare la crescita interna è quella dominante, rappresentando il 55,4% delle emissioni globali e il grosso delle emissioni a più lungo termine. A questa segue la necessità di rifinanziamento di debiti pregressi che si manifesta, ad esempio, nei casi di ristrutturazione finanziaria del passivo – 7,9% delle emissioni campionate – e di finanziamento e/o rifinanziamento del capitale circolante – 5,5% dei casi osservati, alle quali corrispondono, logicamente, emissioni a più brevi scadenze.
LE EMISSIONI DI MINIBOND
Il database dell’Osservatorio è arrivato a collezionare 1.220 emissioni di minibond effettuate dalle imprese del campione a partire da novembre 2012 (in alcuni casi le imprese hanno condotto più emissioni).
Sulle 1.461 emissioni di minibond oggetto del campione osservato dalla School of Management di Milano e avvenute a partire dal 2013, si registra un valore nominale totale dei minibond pari a € 8,61 miliardi, di cui € 3,56 miliardi considerando solo le emissioni fatte da PMI. Secondo la ricerca, il 2022 ha contribuito con € 1,65 miliardi da 268 emissioni globali (mentre l’anno precedente erano state 221), di cui il 25% è stato di importo inferiore a € 2 milioni, facendo registrare una caduta significativa di questo “taglio” di emissioni rispetto al 43% del 2021.
Il valore medio tendenziale dei collocamenti nel secondo semestre 2022 è stato pari a € 6,47 milioni (in aumento rispetto ai €4,75 milioni del 2021) e solo una piccola parte dei titoli è stata quotata su un mercato borsistico, ossia il 5% (in diminuzione rispetto al 15% dell’anno precedente), di cui il 4% su ExtraMOT PRO3 e l’1% su un listino estero.
Per quanto riguarda la scadenza, la distribuzione continuava ad essere molto variegata, con una serie di titoli di breve termine con durata a pochi mesi ed emissioni a più lunga scadenza. Il valore medio del 2021 era di 5,64 anni (in diminuzione rispetto al 2021).
I “MINIBOND GREEN” E I “MINIBOND ESG”: INNOVAZIONI FINANZIARIE IN FORTE CRESCITA
In seguito alla crescente attenzione dei regolatori e degli operatori del mercato finanziario nei confronti della sostenibilità e dei temi ESG (Environmental, Social e Governance), sono stati creati strumenti finanziari innovativi per i quali, negli ultimi anni, vi è stato un crescente ricorso e interesse da parte anche delle PMI e degli investitori.
Tra le innovazioni di “prodotto” (finanziario) inerenti alla sostenibilità ESG troviamo:
- green bond,
- i social bond,
- i sustainability bond e
- i sustainability-linked bond (SLB).
Questi titoli obbligazionari (di debito) privati innovativi sono legati all’obiettivo di generare un impatto positivo, per tutti gli stakeholders coinvolti, in termini di sostenibilità. Secondo BloombergNEF, dopo un picco di emissioni nel 2021, a livello mondiale nel 2022 i bond sostenibili hanno raccolto risorse per $ 865,3 miliardi.
I minibond green, social ed ESG rappresentano un’innovazione evolutiva dei minibond. In generale, i green bond sono titoli obbligazionari minibond emessi al fine di finanziare progetti con impatto positivo sull’ambiente quali, ad esempio, l’installazione di impianti per la generazione di energia rinnovabile, un progetto di efficientamento energetico, un investimento per incrementare il riciclo di rifiuti o promuovere l’economia circolare. Allo stesso modo, rientrano nel dominio dei green bond anche i progetti che mirano a ridurre l’emissione di gas serra nell’atmosfera o all’adattamento all’impatto del cambiamento climatico, in linea con l’Accordo di Parigi del 2015, i quali rappresentano l’oggetto di una categoria specifica di green bond, denominata transition bond. In aggiunta, i green bond possono essere emessi sia come strumenti di finanziamento di nuovi piani di investimento che come strumenti di rifinanziamento di progetti già avviati e che presentano caratteristiche eleggibili.
Oltre ai green bond, esistono i social bond (che finanziano progetti a impatto sociale), i sustainability bond (che finanziano progetti con un impatto generale su temi di sostenibilità) e i sustainability-linked bond (che prevedono meccanismi per ‘agganciare’ il rendimento del titolo, e quindi il costo del capitale per l’emittente, ai risultati di impatto del progetto finanziato premiando l’emittente con uno ‘sconto’ sul tasso di interesse in caso di raggiungimento di un obiettivo prefissato).
Alcuni sviluppi istituzionali e normativi.
Vi è evidenza che, negli ultimi anni, le principali istituzioni pubbliche e private operanti nel mercato dei capitali e, in particolare, nel mercato obbligazionario italiano dei minibond abbiano modificato il proprio assetto gestionale ed operativo al fine, da un lato, di diffondere il ricorso da parte delle PMI (società di capitali) e delle grandi imprese a minibond green ed ESG come strumento di finanziamento e, dall’altro, di stimolare gli investimenti in questi strumenti finanziari e la presenza di minibond all’interno dei portafogli-titoli di banche e altre istituzioni finanziarie non bancarie come i fondi di gestione mobiliare (obbligazionaria).
Ad esempio, la Borsa Italiana, nel 2017, ha inaugurato un nuovo segmento di visibilità, trasversale a tutte le piattaforme obbligazionarie gestite, specificamente dedicato ai minibond legati a obiettivi di sostenibilità (minibond green e minibond ESG). Allo stesso modo, diversi fondi di credito si stanno organizzando per essere accreditati sotto l’Articolo 8 del Regolamento UE SFDR, ovvero come fondi che integrano nel processo di investimento, valutazioni legate alla sostenibilità.
Una recente ricerca del Fondo Europeo per gli Investimenti (“EIF Private Debt Survey 2021: ESG considerations in the lending strategy of private debt funds”) mostra che nell’Unione Europea il 13% dei fondi di credito intervistati considera i fattori ESG fra i temi più importanti nella valutazione dei propri investimenti. Il 75% di essi ha incorporato considerazioni legate alla sostenibilità nella scelta di tutti gli investimenti in portafoglio. Inoltre, nel 2022 in Italia sono stati creati alcuni progetti di Basket Bond che hanno puntato esplicitamente al fattore ESG, come ad esempio il Basket Bond Energia Sostenibile promosso da Eni, ELITE e Illimity Bank, il Basket Bond ESG di CDP e Unicredit, in aggiunta ai Property Investments Bond del programma VITA Superbonus del fondo di private equity LBO France
I risultati delle ricerche della School of Management di Milano.
Partendo dal database della School of Management di Milano, che racchiude un totale di 1.461 emissioni sui minibond, il gruppo di ricerca dell’Osservatorio ha individuato casi di progetti finanziati caratterizzati da un impatto dichiarato, primario e significativo utilizzando i 6 pilastri della Tassonomia UE (Regolamento 2020/852).
Grafico 3. Flusso di minibond green e sustainability linked (SLB) sul mercato italiano (emissioni sotto € 50 milioni): numero e controvalore annuale in € milioni.
Dalle ricerche effettuate, i cui risultati sono riportati nel grafico 3 soprariportato, è possibile notare come fino al 2017 i minibond green ed ESG fossero praticamente inesistenti. Dal 2018 è stato emesso il primo minibond green e fino al 2020, complice anche la crisi epidemiologica da Covid-19, il flusso di emissioni dei minibond green ed ESG aveva faticato a decollare. Da lì in poi vi è stata una crescita relativamente esponenziale nell’emissione di minibond sia green che ESG, con l’anno di svolta rappresentato dal 2021, con 5 emissioni di minibond green alle quali si sommano ben 18 emissioni di sustainability o ESG-linked minibond. Nel 2022, invece, vi sono stati ben 60 collocamenti suddivisi fra 29 green bond e 31 indicizzati a parametri ESG. La raccolta totale è stata di € 304,95 milioni che rappresenta il 18,5% dell’intero mercato dei minibond in Italia.
Come evidenziato dallo stesso gruppo di ricerca della School of Management di Milano e in virtù degli sviluppi innovativi e di adeguamento degli assetti organizzativi ed strategico-operativi delle diverse istituzioni operanti all’interno del mercato dei minibond sia europeo che italiano, risulta molto probabile che i bond green e di minibond ESG saranno strumenti di funding sempre più diffusi.