ESTEROVESTIZIONE SOCIETARIA

Il termine esterovestizione societaria individua un fenomeno di evasione fiscale internazionale che si realizza attraverso una dissociazione tra la residenza fiscale effettiva di una società, localizzata in Italia, e la residenza fiscale fittizia situata formalmente all’estero. Solitamente quest’ultima viene stabilita in Stati o territori a fiscalità privilegiata al fine di evadere le imposte nello Stato di residenza utilizzando tecniche di pianificazione fiscale internazionale.

Sostanzialmente, la sede legale dell’impresa viene localizzata all’estero mentre, di fatto, la stessa viene gestita dall’Italia, dove viene individuata la sede di direzione effettiva del soggetto economico non residente.

L’obiettivo perseguito, quindi, è quello di usufruire di un regime fiscale più vantaggioso. L’individuazione della residenza fiscale effettiva assume connotati di particolare rilevanza e dirette conseguenze sotto il profilo impositivo, in quanto la persona giuridica residente nel territorio dello Stato è assoggettata a tassazione per i redditi ovunque prodotti nel mondo, in base al principio della tassazione su base mondiale (c.d. “world wide taxation”).

  1. NORMATIVA DI RIFERIMENTO
  2. ASPETTI SANZIONATORI
  3. ESTEROVESTIZIONE E SERVIZI DIGITALI
  4. CONCLUSIONI

NORMATIVA DI RIFERIMENTO

L’articolo 73, comma 3, TUIR illustra i requisiti giuridici che consentono di riqualificare la residenza fiscale in Italia di un soggetto non residente che formalmente ha stabilito all’estero la propria sede legale.

In particolare, il legislatore ha previsto che le società, gli enti ed i trust sono considerati residenti in Italia quando, per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni), hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato.

Il legislatore, inoltre, ha introdotto una presunzione legale relativa di esterovestizione, ex articolo 73, comma 5-bis, Tuir, tenuto conto che la norma prevede che, salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, cod. civ., in altre società ed enti se, in alternativa:

1. sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, cod. civ., da soggetti residenti nel territorio dello Stato;

2. sono amministrate da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

Con riferimento a quest’ultimo punto si segnala la sentenza n. 16697 del 21.06.2019 della Corte di Cassazione dalla quale emerge che ricorre l’ipotesi di esterovestizione quando una società, la quale ha nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione, localizza la propria residenza fiscale all’estero al solo fine di fruire di una legislazione tributaria più vantaggiosa.

Si può affermare che per individuare la sede dell’amministrazione dell’impresa estera e la sua residenza ai fini fiscali, esistono elementi c.d. “sintomatici” quali, ad esempio:

  • il luogo dove si riuniscono gli amministratori e l’assemblea dei soci;
  • la residenza degli amministratori e se questi sono in maggioranza residenti in Italia o all’estero;
  • la disponibilità sul territorio nazionale di conti correnti, di contratti ed utenze;
  • dove risulta localizzata l’organizzazione imprenditoriale;
  • dove viene recapitata la corrispondenza commerciale.

ASPETTI SANZIONATORI

Delineato l’ambito giuridico di riferimento, occorre capire quali sono le conseguenze sanzionatorie nella particolare ipotesi di esterovestizione.

A livello amministrativo, possono essere constatate le seguenti violazioni:

Ai fini penali tributari, invece, occorre valutare l’eventuale rilevanza della fattispecie delittuosa prevista e punita dall’articolo 5 D.lgs. 74/2000, soprattutto qualora l’esterovestizione venga qualificata come un “fenomeno evasivo”.

ESTEROVESTIZIONE E SERVIZI DIGITALI

Il fenomeno dell’esterovestizione risulta di difficile individuazione quando si parla di business digitale. Le imprese digitali, infatti, sono essenzialmente business liquidi, con pochissimi asset, beni strumentali e con una gestione del magazzino spesso esternalizzata.

In un’economia globalizzata in cui i dati sono la materia prima, quindi, potrebbe non avere più senso tassare le società in base alla loro presenza fisica o utilizzare regole secolari per allocare i profitti a diverse giurisdizioni.

Proprio per queste motivazioni è stata introdotta a livello globale la web tax.

Si tratta di un’imposta sui servizi digitali con aliquota imposta al 3%. La tassa è stata istituita dalla Legge di Bilancio 2019 e modificata in seguito dalla Manovra dell’anno successivo. I soggetti che singolarmente, o a livello di gruppo, nell’anno solare precedente, realizzano:

  • un ammontare complessivo di ricavi non inferiore a 750 milioni di euro;
  • un ammontare di ricavi derivanti da servizi digitali conseguiti nel territorio dello Stato non inferiore a 5,5 milioni di euro;

sono considerati soggetti passivi ai fini dell’imposta in oggetto.

Tuttavia occorre tenere presente che proprio per affrontare le sfide poste da un’economia sempre più digitale e globalizzata l’Ocse ha pubblicato un framework  di regole per l’attuazione di una riforma fiscale globale che, per la prima volta e a partire dal 2023, imporrà alle grandi imprese multinazionali un’aliquota minima del 15%.Il modello di regole (Pillar Two model rules) è stato adottato lo scorso ottobre 2021  dai Paesi  membri del Quadro inclusivo Ocse/G20.L’imposta minima al 15% verrà applicata alle multinazionali che realizzano un fatturato superiore ai 750 milioni di euro e dovrebbe generare, secondo esperti dell’Ocse, ogni anno 150 miliardi di dollari di entrate fiscali supplementari a livello mondiale. 

Le regole pubblicate dall’Ocse definiscono il campo di applicazione delle norme che di fatto consiste in  una “tassa complementare” sui benefici realizzati in ogni giurisdizione, non appena il tasso effettivo di imposizione, calcolato al livello della giurisdizione stessa, è inferiore al tasso minimo del 15%. Ad esito di tale nuovo modello i principali paesi Ocse si sono accordati per sospendere le web tax nazionali dal 2023, quando entrerà in vigore il nuovo regime Ocse.

CONCLUSIONI

La pianificazione fiscale internazionale e la decisione di costituire o trasferire società all’estero sono tematiche che ogni singolo imprenditore dovrebbe affrontare opportunamente supportato da professionisti esperti  con la consapevolezza che il rischio fiscale va presidiato e mitigato cosi come tutti gli altri rischi operativi che fare business comporta al fine di evitare conseguenze di carattere sanzionatorio anche penale che potrebbero seriamente impattare sul patrimonio e sulla continuità dell’azienda.

Francesco Cospito (Partner CA Consulting)